La “questione antifascista” non riguarda soltanto i “militanti”. Le aggressioni fasciste hanno toccato un po’ chiunque si allontani dalla logica Dio-Patria-Famiglia: sinti, immigrati, giovani alternativi, senza tetto… e c’è da chiedersi di quanti non abbiamo saputo o non sappiamo nulla.
In una società in cui il legalismo e l’abitudine alla delega sono penetrati fin dentro le ossa, non ci stupiamo che le persone aggredite, spesso estranee a “giri organizzati”, ricorrano alla denuncia in caserma o in questura. Quando non lo fanno, ciò avviene più per paura di possibili rappresaglie che per una lucida scelta di rifiuto della delega.
È importante dunque che di queste cose si discuta e si diffonda la consapevolezza che l’alternativa della solidarietà e dell’autorganizzazione è non solo possibile, ma anche solida.
Purtroppo abbiamo visto a Trento anche gruppi organizzati fare della denuncia all’autorità statale una scelta politica, motivata dalla necessità di colpire gli squadristi “in ogni modo possibile”.
Questa posizione non è per noi condivisibile e merita alcune riflessioni. Tanto più che viene presentata come un’opzione valida a chi, fuori dai giri militanti, è vittima dello squadrismo e si ritrova solo di fronte a fascisti e polizia.
Se, per quanto ci riguarda, il rifiuto del ricorso a polizia e magistratura è una questione di principio, le riflessioni che vogliamo fare sono anche di ordine tattico e strategico.
1) Le denunce non hanno mai fermato lo squadrismo fascista.
Dal Ventennio ad oggi le istituzioni hanno sempre deciso se, quando e come mettere la museruola ai gruppi fascisti che così utilmente si adoperano contro forze e movimenti rivoluzionari. Si pensi ad Alba Dorata in Grecia: i processi hanno sempre visto uscire i fascisti puliti o minimamente colpiti.
Viceversa i compagni e in generale chi lotta e si ritrova a scontrarsi con i fascisti sono sempre stati repressi e oggetto di trattamento speciale. L’esistenza di due pesi e due misure non ci deve stupire, ma rendere coscienti delle rispettive scelte di campo.
2) È la polizia che ci protegge? Le forze dell’ordine sono le stesse che ci sfrattano, sgomberano, manganellano e gasano ogni giorno. Come può esserci d’aiuto chi è nostro quotidiano nemico?
Abbiamo visto – qui a Trento, non sui libri di storia né in paesi lontani – polizia e carabinieri in aperta connivenza con CasaPound. Il “tenero abbraccio tra fascisti e polizia” è evidente a tutti quelli e a tutte quelle che scendono in piazza e strada come antifascisti e antifasciste. Sappiamo di poliziotti che si dichiarano simpatizzanti di CasaPound Trento, come negli anni abbiamo visto esponenti delle forze dell’ordine tesserati o anche candidati di gruppi come Forza Nuova e Fiamma Tricolore. A noi sembra piuttosto logico: tra chi esalta il comando, l’ordine e la gerarchia e chi si batte per un mondo senza potere né divise, il poliziotto a chi dovrebbe sentirsi più vicino?
Ma dopo aver denunciato il “tenero abbraccio tra fascisti e polizia”, che si fa? Si va a denunciare i fascisti alla… polizia?
Tra l’altro, quando si denunciano i fascisti si entra in un rapporto con la polizia, la quale interpreta la fiducia che si ripone in lei come una porta aperta. Chi c’era con te quella sera? Cosa ne pensi di Tizio o Caio? In altre occasioni, potrebbe essere la polizia stessa a convocare qualcuno pensando che, se ha denunciato in passato, potrebbe essere meno fermo e deciso nel rifiutare di raccontare certi episodi. Il rischio di esporre altri non si può mai escludere a priori, soprattutto quando l’indicazione di denunciare viene data a persone che nemmeno si conoscono.
Da qualunque lato la si giri, il costume “non si parla con gli sbirri” è non solo quello che riteniamo più giusto, ma è anche quello che ci protegge di più.
3) Quindi che fare?
Quando si dice “colpire i fascisti in tutti i modi possibili” pensiamo che – escludendo le denunce e, più in generale, la collaborazione con le istituzioni – si apra un ampio ventaglio di possibilità. Nessuna da scartare a priori e ognuna da difendere pubblicamente. Controinformazione, dibattito, autorganizzazione, autodifesa, azione diretta sono pratiche da diffondere e coordinare il più possibile.
Non ci sono i “duri e puri” da un lato e i “mollaccioni” dall’altro, figure di un mondo autoritario e patriarcale che rifiutiamo. Tutto si può imparare, tutti possono imparare, in una tensione costante di emancipazione.
Parlare apertamente dei propri limiti e delle proprie paure, di modo che ognuno e ognuna possa inventare insieme ad altri il proprio modo di agire e si senta a suo agio in ciò che fa. Polizia e magistratura indeboliscono i nostri rapporti, spezzano le nostre complicità, omologano le nostre differenze.
Non abbiamo bisogno di delegare niente a nessuno. Non abbiamo bisogno di sguardi truci e né di pose militanti. Abbiamo bisogno di solidarietà e determinazione.
La liberazione sorride a chi sa usare la violenza senza amarla.
Assemblea Antifascista, riunitasi all’Assillo Occupato l’8 aprile 2015