Quante volte è risuonato nelle strade e nelle piazze questo slogan?
Ogni volta che un gruppo di fascisti ha inaugurato una nuova sede, ogni volta che i nostalgici del Duce hanno manifestato contro gli immigrati, ogni volta che questi servi dello Stato e del capitale hanno aggredito, accoltellato e assassinato un compagno, un migrante, un senza casa, un gay, una lesbica, un trans, un rom.
Spesso quelle parole hanno avuto il sapore amaro della retorica priva di conseguenze, di un collettivo “vorrei ma non posso”.
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile 2014, invece, ha imboccato la strada dell’azione diretta. Quella notte è andata a fuoco una villa sopra il borgo di Pellegrino Parmense, incendiata da mani anonime. Non una villa qualsiasi, ma un “avamposto”, come lo chiamavano i militanti di Caspound, dove, dal 30 agosto al 1° settembre 2013, si era svolto un raduno neofascista a cui avevano partecipato circa duecento persone. Il proprietario della villa è un militante di Casapound.
Quell’angolo dell’Appennino è coperto di cippi che ricordano i tanti partigiani caduti. Persino Cgil e Anpi avevano urlato alla provocazione per quel raduno di camicie nere, invitando le autorità a intervenire. Retorica sui valori della Resistenza, fiducia nello Stato, e nulla più. Come al solito.
Ciò che l’antifascismo istituzionale non ha fatto (né in quei luoghi né altrove), lo hanno fatto un po’ di benzina e di diavolina: chiudere un covo fascista.
Il 27 agosto, tre compagni – Filippo, Andrea e Lorenzo – sono stati posti agli arresti domiciliari tra Parma e Modena perché accusati di esseri i responsabili di quell’azione incendiaria.
Non ci interessa sapere se sono stati loro.
Ciò che sappiamo è che sono compagni che abbiamo avuto a fianco nelle lotte di questi anni.
Ciò che sappiamo è che un avamposto neofascista in meno rappresenta un po’ più di libertà per tutti.
Da questo ricaviamo tutto quello che ci serve per essere solidali con i tre compagni.
Da questo si può e si deve partire per una mobilitazione che porti Pippo, Andre e Tommi di nuovo fra noi.
In fondo l’alternativa – resa ancora più netta dal clima di caccia all’immigrato che si respira ovunque e che fornisce ai fascisti un terreno ideale di propaganda e di organizzazione – è secca: o si smette di urlare certi slogan, o si assumono e si difendono le conseguenze cui chiamano.
compagne e compagni di Trento e Rovereto