Di seguito un articolo su quanto accaduto a Torino e che merita qualche riflessione rispetto alla realtà trentina.
Qualche giorno fa, abbiamo letto un testo, distribuito tra Via Madama e Corso Dante per un’occasione specifica, il cui significato non si esaurisce in precise coordinate spazio temporali e che pensiamo che meriti una più ampia diffusione. Ve lo riproponiamo con piacere, ma prima, due parole sui fatti.
A partire dal pomeriggio di mercoledì 26 giugno San Salvario è completamente militarizzata, con numerose camionette di Polizia schierate in diversi angoli del quartiere. Per una volta non si tratta di una retata: in programma c’è una manifestazione contro il degrado, di quelle che di tanto in tanto si vedono sfilare anche in Aurora o Barriera.
Il tono del manifesto di indizione lascia trasparire lo zampino di Casa Pound che, al confine Sud di San Salvario, ha la sede del suo circolo torinese, l’Asso di Bastoni. Nonostante il tentativo di mascherare l’odore, indossando il vestito buono del cittadino indignato contro il degrado, la puzza di fascista arriva al naso dei più, e sono tanti a voler impedire ai camerati del terzo millennio di declinare in chiave razzista l’esigenza di maggiore sicurezza che denunciano giornali, associazioni di commercianti, e, non va negato, anche gli abitanti del quartiere.
Sono due i presidi concomitanti all’iniziativa, uno in largo Saluzzo, l’altro in corso Dante angolo via Madama Cristina, con l’obiettivo di disturbare la passeggiata antidegrado. Da largo Saluzzo si parte poi in corteo per rimpolpare l’altro presidio, più vicino all’Asso di Bastoni, luogo del concentramento. Ai cittadini contro il degrado non resta che sfilare ben protetti da scudi e manganelli. C’è comunque da chiedersi come mai a San Salvario certi discorsi trovino terreno fertile. Infatti alla manifestazione antidegrado hanno partecipato anche persone e abitanti del quartiere tra i quali spuntavano, ben poco mimetizzate, le teste rasate.
San Salvario sta affrontando, come altri pezzi di città, un processo di riqualificazione che ha comportato negli ultimi tempi un aumento consistente di sfratti e di retate volti ad allontanare chi non riesce a stare al passo dei cambiamenti del quartiere. Tra effetti e obiettivi della rigenerazione urbana, infatti, c’è l’aumento dei costi di locazione e l’incentivazione di nuove attività economiche che rilancino l’immagine generale della città. Solo coloro con un certo tenore di vita compatibile con la trama della nuova economia metropolitana sono i destinatari della vivibilità commerciale dei quartieri riqualificati. Gente che può permettersi di pagare fior di soldi per comprare o affittare la casa, e possibilmente fa una spesa col marchio bio. Le trasformazioni dello spazio quotidiano, in questa parte di città un tempo popolare, hanno generato un senso di insicurezza generale che spesso si tramuta in conflitti tra i vari abitanti e avventori, distogliendo lo sguardo dai veri responsabili della gestione urbana, padroni e Comune.
Ecco la chiacchierata fatta il giorno dopo ai microfoni di Radio Blackout e il volantino di cui parlavamo in apertura:
Degrado/Riqualificazione
Negli ultimi anni le questioni relative alla vita in città hanno assunto un ruolo centrale nel discorso politico e, di riflesso, nell’immaginario diffuso, non solo di chi vive in zone metropolitane. Il perché questo stia accadendo proprio ora è da ricercarsi nell’esigenza di staccarsi da un’immagine di città tradizionale considerata esclusivamente come motore di produzione dell’industria pesante. Torino, all’interno di questo scenario, è un caso esemplare di come i governanti stiano mettendo in atto dei processi di riqualificazione in grado di costruire una nuova immagine spendibile in nuovi termini economici: da polo barocco passando per la città-fabbrica, il capoluogo piemontese è ora investito da forme di rappresentazione che lo proiettano sul mercato internazionale, e che ne fanno un fulcro della modernità, anzi di quella post-modernità che si alimenta con le start-up innovative, con i centri d’arte e di design, con i grandi eventi. Questi nuovi centri di produzione, promossi da grandi aziende, banche e proprietari immobiliari, impongono una gestione dello spazio urbano che passa attraverso modificazioni radicali di quartieri da tempo ignorati dai grandi interessi economici.
Zone alle porte del centro come San Salvario e Porta Palazzo, pezzi di città strategici nella nuova geografia della mobilità come Barriera di Milano, borgate popolari proposte come sedi aziendali come San Paolo e Aurora, sono la prova che questi processi invasivi hanno ripercussioni tangibili sulla popolazione che questi quartieri li ha sempre vissuti. Infatti nel dar nuova forma alla città l’amministrazione cittadina, regista della riqualificazione, si muove su un doppio livello: da una parte, intraprendendo una gestione diversa da quella welfaristica del secolo scorso, si impegna a mobilitare e indirizzare capitali secondo un piano strategico di promozione dell’area metropolitana; dall’altra, attraverso i media locali, fa un uso politico del discorso sul degrado, dispositivo per preparare il terreno al cambiamento concentrando l’attenzione cittadina su una serie di problematiche legate alla vivibilità.
Non a caso questo discorso diventa preponderante laddove la popolazione è modesta e cerca di arrangiarsi per sbarcare il lunario, talvolta al di fuori di un quadro di legalità o governabilità. Il degrado viene riferito così alle persone che costituiscono un ostacolo allo sfruttamento futuro della potenzialità economica, mentre dev’essere chiaro che questo è dovuto al fatto che i padroni hanno continuato ad arricchirsi grazie ad affitti troppo onerosi per palazzi fatiscenti e a lavori mal pagati.
Adesso però che si decide di investire in questi quartieri, chi ci ha abitato finora, in buona parte immigrati, non è più desiderato perché le innovazioni e i nuovi centri produttivi previsti per queste parti di città esigono nuovi abitanti con un tenore di vita appropriato e che per questo non rappresentino un problema.
Gli strumenti per impiantare una popolazione e allontanare quella diventata indesiderata sono sotto gli occhi di tutti con sfratti e retate sempre più frequenti. Il processo è veloce ma non immediato e in questo lasso di tempo spesso sorgono conflitti tra i vari abitanti che derivano proprio dalle trasformazioni in atto e dalla percezione di insicurezza che le accompagna.
È qui che trova terreno fertile la propaganda fascista di Casa Pound e di altri gruppetti infami, che in maniera complementare ai discorsi di Comune e imprenditori, alimentano la guerra tra poveri in una logica razzista. I cortei contro il degrado promossi da queste realtà non sono che uno specchietto per le allodole che distoglie lo sguardo dai reali fautori del malessere e dello sfruttamento. In continuità con la loro storia, i fascisti del terzo millennio non sono che avvoltoi che agiscono dove le politiche capitalistiche fanno i loro scempi.
macerie @ Giugno 27, 2014